Intervista sul Corporate Diary. "Pace e Amore. Italian selection for Expo 2021"
La sua pittura, maestro, è estremamente aristocratica. Come nasce il progetto di dipingere persone all’interno delle scatole?
Ricordo perfettamente il momento in cui questo mio progetto ha preso forma. È stato un attimo in cui si sono uniti piccoli tasselli di un puzzle che in realtà già ballavano nella mia testa.
In passato avevo chiesto a un amico attore di posare per me in un qualcosa che lo costringesse. All’epoca volevo esprimere un senso di chiusura, di costrizione, avevo bisogno di qualcosa che lo schiacciasse, lo intrappolasse e da cui non riuscisse a uscire. Sicuramente nella mia idea lui era già in una scatola ma ancora non l’avevo messo realmente a fuoco.
Avevo appena finito a Milano una personale di pittura ed ero nella mia vita milanese (città che amo e che mi ha ospitato per tanti anni e che ogni tanto ancora lo fa) stesa sul divano febbricitante, e avevo davanti a me una parete bianca, forse troppo vicina per non opprimermi. Quella stessa parete mi ha riportato alla mia vecchia idea fino ad allora assopita. Poi però le pareti si sono aperte e mi sono ritrovata in una stanza con quattro lati e il soffitto: la mia scatola.
L’idea quindi è diventata il progetto, la costrizione è diventata libertà e la scatola un luogo chiuso e un mezzo per volare verso lo scioglimento di qualche nodo o verso un luogo in cui nascono le risposte.
Non escludo che in questo momento storico la scatola ritornerà a essere per qualcuno quell’involucro costringente.
Cosa vede lei nella figura maschile e in quella femminile?
Credo che le persone ci raccontino il passato e il presente. Il passato è quello dei grandi personaggi che da sempre si sono espressi attraverso la rappresentazione di figure umane. Sono cambiati nei secoli i modi di raffigurarle, secondo le tecniche che si sono succedute, eppure l’uomo è sempre rimasto uno dei centri intorno a cui hanno ruotato stili e arti. Oggi per me la figura maschile e quella femminile rimangono un bellissimo vaso pieno, che porta in sé ciò che artisticamente e storicamente è stato fino a oggi e sarà domani. Armonia e bellezza dei corpi quindi, ma insieme l’interiorità raccontata attraverso uno sguardo appena percettibile, o una significativa postura.
Quali sono i suoi maestri di riferimento?
Diciamo che la mia pittura è un po’ cambiata nel tempo, passando paradossalmente e al contrario di quanto spesso accade, da un linguaggio astratto a uno figurativo e realistico. Soffermandomi solo su quest’ultimo, nel quale sento ci sia la mia anima, posso dire di aver ammirato e preso come esempio artisti come Caravaggio per i suoi irripetibili chiaroscuri e le sue luci, e maestri di fine 800 come Bouguereau per la delicatezza e la meraviglia dei suoi incarnati. Ma sono altrettanto innamorata di altri pittori come Klimt, per l’utilizzo degli ori e delle decorazioni minuziose unite a un meraviglioso realismo, della pittura spesso drammatica di Egon Shiele con i suoi tratti essenziali e indimenticabili, o della verità nuda e cruda rappresentata Lucian Freud.
Devo però dire che al giorno d’oggi è anche molto facile ammirare artisti del presente, perché siamo circondati da una tecnologia sempre più spinta che ci permette di guardare opere di così tanta bellezza da rimanerne incantati.
La sua arte ha un respiro internazionale e una sua opera sarà esposta alla mostra a Palazzo Ducale a Massa e sarà vista anche da personalità dell’Expo. Quale messaggio vuole portare ad altri popoli?
L’opera esposta al Palazzo Ducale di Massa si chiama “Risveglio”. È una giovane donna che dopo essere stata chiusa nella sua scatola e quasi caduta in una specie di letargo, si desta e intorno a sé trova un mondo cambiato. Non a caso è la mia ultima opera dipinta a fine 2020, in un momento in cui non c’erano solo i colori sulla mia tavolozza ad alternarsi, ma anche quelli delle regioni. La natura sembra quasi essersi voluta riprendere i propri spazi e, nel bene o nel male, alla fine di questa disastro mondiale ci risveglieremo in un posto in cui tante cose saranno necessariamente cambiate. Sta già accadendo, e questo senza esclusione di razze, di colore e di ceto sociale. Ma il messaggio vorrei fosse positivo perché in quei fiori di cui la donna è agghindata e attorniata, c’è la possibilità che la natura ancora ci offre. C’è la sua mano tesa.
Ricordo perfettamente il momento in cui questo mio progetto ha preso forma. È stato un attimo in cui si sono uniti piccoli tasselli di un puzzle che in realtà già ballavano nella mia testa.
In passato avevo chiesto a un amico attore di posare per me in un qualcosa che lo costringesse. All’epoca volevo esprimere un senso di chiusura, di costrizione, avevo bisogno di qualcosa che lo schiacciasse, lo intrappolasse e da cui non riuscisse a uscire. Sicuramente nella mia idea lui era già in una scatola ma ancora non l’avevo messo realmente a fuoco.
Avevo appena finito a Milano una personale di pittura ed ero nella mia vita milanese (città che amo e che mi ha ospitato per tanti anni e che ogni tanto ancora lo fa) stesa sul divano febbricitante, e avevo davanti a me una parete bianca, forse troppo vicina per non opprimermi. Quella stessa parete mi ha riportato alla mia vecchia idea fino ad allora assopita. Poi però le pareti si sono aperte e mi sono ritrovata in una stanza con quattro lati e il soffitto: la mia scatola.
L’idea quindi è diventata il progetto, la costrizione è diventata libertà e la scatola un luogo chiuso e un mezzo per volare verso lo scioglimento di qualche nodo o verso un luogo in cui nascono le risposte.
Non escludo che in questo momento storico la scatola ritornerà a essere per qualcuno quell’involucro costringente.
Cosa vede lei nella figura maschile e in quella femminile?
Credo che le persone ci raccontino il passato e il presente. Il passato è quello dei grandi personaggi che da sempre si sono espressi attraverso la rappresentazione di figure umane. Sono cambiati nei secoli i modi di raffigurarle, secondo le tecniche che si sono succedute, eppure l’uomo è sempre rimasto uno dei centri intorno a cui hanno ruotato stili e arti. Oggi per me la figura maschile e quella femminile rimangono un bellissimo vaso pieno, che porta in sé ciò che artisticamente e storicamente è stato fino a oggi e sarà domani. Armonia e bellezza dei corpi quindi, ma insieme l’interiorità raccontata attraverso uno sguardo appena percettibile, o una significativa postura.
Quali sono i suoi maestri di riferimento?
Diciamo che la mia pittura è un po’ cambiata nel tempo, passando paradossalmente e al contrario di quanto spesso accade, da un linguaggio astratto a uno figurativo e realistico. Soffermandomi solo su quest’ultimo, nel quale sento ci sia la mia anima, posso dire di aver ammirato e preso come esempio artisti come Caravaggio per i suoi irripetibili chiaroscuri e le sue luci, e maestri di fine 800 come Bouguereau per la delicatezza e la meraviglia dei suoi incarnati. Ma sono altrettanto innamorata di altri pittori come Klimt, per l’utilizzo degli ori e delle decorazioni minuziose unite a un meraviglioso realismo, della pittura spesso drammatica di Egon Shiele con i suoi tratti essenziali e indimenticabili, o della verità nuda e cruda rappresentata Lucian Freud.
Devo però dire che al giorno d’oggi è anche molto facile ammirare artisti del presente, perché siamo circondati da una tecnologia sempre più spinta che ci permette di guardare opere di così tanta bellezza da rimanerne incantati.
La sua arte ha un respiro internazionale e una sua opera sarà esposta alla mostra a Palazzo Ducale a Massa e sarà vista anche da personalità dell’Expo. Quale messaggio vuole portare ad altri popoli?
L’opera esposta al Palazzo Ducale di Massa si chiama “Risveglio”. È una giovane donna che dopo essere stata chiusa nella sua scatola e quasi caduta in una specie di letargo, si desta e intorno a sé trova un mondo cambiato. Non a caso è la mia ultima opera dipinta a fine 2020, in un momento in cui non c’erano solo i colori sulla mia tavolozza ad alternarsi, ma anche quelli delle regioni. La natura sembra quasi essersi voluta riprendere i propri spazi e, nel bene o nel male, alla fine di questa disastro mondiale ci risveglieremo in un posto in cui tante cose saranno necessariamente cambiate. Sta già accadendo, e questo senza esclusione di razze, di colore e di ceto sociale. Ma il messaggio vorrei fosse positivo perché in quei fiori di cui la donna è agghindata e attorniata, c’è la possibilità che la natura ancora ci offre. C’è la sua mano tesa.
Intervista su "Telebari" rete locale.
Aprile 2015 |
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Intervista su "LSD Magazine"
in occasione della personale di pittura inaugurata il 28 febbraio 2015 presso la galleria 809 di Milano
in occasione della personale di pittura inaugurata il 28 febbraio 2015 presso la galleria 809 di Milano
Barese, pubblicitaria e pittrice, Antonella Belviso predilige lo stile figurativo, che per lei ha un significato simbolico piuttosto che di fedele adesione al reale. Abituata da sempre a dipingere, ha frequentato la bottega di Filippo Cacace, allievo di Riccardo Tommasi Ferroni, uno dei massimi esponenti della figurazione internazionale contemporanea. Dal Maestro Cacace ha appreso l’antica tecnica della grisaglia che ha adottato per i suoi dipinti, in prevalenza ritratti. Grazie alla tecnica utilizzata e al chiaroscuro, i suoi volti acquistano espressività, le loro emozioni emergono attraverso le pennellate. La sfida più importante per la giovane artista è la resa della luce, da lei mutuata direttamente da Caravaggio, cui la sua pittura è principalmente ispirata. La figuratività di Antonella Belviso è costituita da una galleria di personaggi scelti accuratamente il più delle volte fra la gente anonima, dalla cui folla l’artista fa emergere una personalità con la sua storia, altrimenti sommersa dall’anonimato. E ogni volto ritratto dall’artista parla un suo linguaggio individuale, raccontandosi, come il vecchio e il cane, come l’invisibile, come la bambina che assapora una mela o come quella Venere di botticelliana memoria, in cui la citazione letterale, nell’atteggiamento e nei capelli, viene bruscamente negata da un taglio che percorre la figura. L’autoritratto ha pure esso valenza simbolica, là dove viene espresso il culmine della ricerca dell’autrice, che propone la sua immagine femminile, come simbolo delle donne e della loro consapevolezza storica. In occasione della prossima mostra milanese ho rivolto alcune domande all’artista:
Una domanda banale: come ha cominciato il suo percorso artistico?
Nasco come pubblicitaria. Ho studiato a Roma presso l’Istituto Europeo di Design come “art director” più di vent’anni fa, quando ancora non esisteva una vera e propria laurea in materia. Mio padre era un professore universitario, ed è stata realmente dura convincerlo, visto il percorso alternativo, che si trattasse già da allora di una professione concreta. Poi ebbe inizio la mia avventura milanese, città in cui non fu difficile trovare lavoro perché, detto fra noi, non sono così male come creativa! Cominciai anche a persuadere mio padre che quella di pubblicitaria fosse una strada percorribile, tanto che presto iniziò a custodire le stampe dei miei lavori più interessanti. L’avevo convinto… Finchè intorno al 2009 tornai a Bari e cominciai a frequentare la bottega d’arte di Filippo Cacace allievo di Riccardo Tommasi Ferroni, parallelamente alla professione di freelance pubblicitaria che ormai esercitavo. Mi ricordo la frase che mio padre disse una settimana prima di morire (non amo questa parola), quando cominciai a intensificare e a dedicare sempre più tempo alla mia passione per la pittura: “Antonella non vorrai mica lasciare la pubblicità per la pittura?” All’epoca i miei quadri erano ancora astratti. Sono passata in poco tempo dall’astratto al figurativo, forse facendo il percorso inverso di molti pittori. Peccato che mio padre non abbia mai visto questa mia ultima produzione, almeno non dalla nostra stessa prospettiva! Il mio percorso da pubblicitaria è comunque vivo e presente nelle mie opere. E’ una forma mentis, è un concetto, è lo strumento che utilizzo per dire la mia. Così come la pubblicità è la sintesi di un’idea, lo è anche un’opera.
Come motiva la sua scelta della pittura figurativa in un’epoca in cui l’arte sembra aver preso altre direzioni?
E’ difficile rispondere a questa domanda senza farmi nemici. So perfettamente che spesso il mio genere di arte non è ritenuto commerciale, o semplicemente non stupisce come può aver fatto ad esempio la “Fontana” di Duchamp, l’opera dell’artista Manzoni, o il concetto di spazialità introdotto dai “Tagli” di Lucio Fontana. Non intendo dire che una direzione sia meglio di un’altra, ma semplicemente che debba essere la passione a portarti sulla giusta via, che non è necessariamente quella del momento. Ritengo anche che nel campo dell’arte moderna si sia altresì visto tanto, tantissimo, e chissà, forse un giorno la strada potrà essere quella di ritornare alla tecnica, allo studio, alla realtà. Catturare uno sguardo, o esprimere un’idea proprio come da sempre riesce a fare una canzone. Guardandomi intorno vedo nelle accademie di belle arti di Bari e Milano, il ritorno fra i giovani a quelle tecniche che portano sulla strada del realismo e che comunque riprendono pennellate dall’arte classica. Trovo ci sia una certa modernità nella scelta di alcuni miei soggetti o nel modo di dire la mia.
Il Maestro Filippo Cacace le ha insegnato le tecniche antiche: cosa significa per lei la scelta della grisaglia e cosa simboleggia?
Credo che in qualsiasi disciplina occorra una “disciplina”. Mi rendo conto che unire la parola creativo, pittore, artista a questo concetto per molti suonerà strano. Eppure lo ritengo fondamentale persino nell’arte. Per me la tecnica della grisaglia è una direzione, un metodo da applicare per esaltare le qualità chiaroscurali di un’opera e per tirar fuori, attraverso pennellate e sovrapposizioni di colore, la luce.
Si definirebbe artista contemporanea?
Ritengo di sì. Certo non creo installazioni e non appartengo a movimenti moderni come può essere ad esempio quello della transavanguardia. Sono una pittrice consapevole e senza pretesa di avere inventato uno stile nuovo. Però sono curiosa e sempre pronta a mettermi in discussione e a esplorare senza allontanarmi necessariamente da me stessa. Ritengo che oggi sia possibile convivere con espressioni culturali diverse che sicuramente, seppur a volte in maniera inconsapevole, stimolano il processo creativo e alimentano la produzione artistica.
Cos’è per lei il realismo in pittura: fedeltà rappresentativa o interpretazione del mondo?
Credo sia bellezza. Certo è che per bellezza si possono intendere mille cose: quella di un corpo, di uno sguardo, di un pensiero, dell’anima, di un’idea o anche quella di una singola pennellata. E se la bellezza poi la si ritrova negli occhi di chi guarda, credo tu abbia fatto centro.
Una domanda banale: come ha cominciato il suo percorso artistico?
Nasco come pubblicitaria. Ho studiato a Roma presso l’Istituto Europeo di Design come “art director” più di vent’anni fa, quando ancora non esisteva una vera e propria laurea in materia. Mio padre era un professore universitario, ed è stata realmente dura convincerlo, visto il percorso alternativo, che si trattasse già da allora di una professione concreta. Poi ebbe inizio la mia avventura milanese, città in cui non fu difficile trovare lavoro perché, detto fra noi, non sono così male come creativa! Cominciai anche a persuadere mio padre che quella di pubblicitaria fosse una strada percorribile, tanto che presto iniziò a custodire le stampe dei miei lavori più interessanti. L’avevo convinto… Finchè intorno al 2009 tornai a Bari e cominciai a frequentare la bottega d’arte di Filippo Cacace allievo di Riccardo Tommasi Ferroni, parallelamente alla professione di freelance pubblicitaria che ormai esercitavo. Mi ricordo la frase che mio padre disse una settimana prima di morire (non amo questa parola), quando cominciai a intensificare e a dedicare sempre più tempo alla mia passione per la pittura: “Antonella non vorrai mica lasciare la pubblicità per la pittura?” All’epoca i miei quadri erano ancora astratti. Sono passata in poco tempo dall’astratto al figurativo, forse facendo il percorso inverso di molti pittori. Peccato che mio padre non abbia mai visto questa mia ultima produzione, almeno non dalla nostra stessa prospettiva! Il mio percorso da pubblicitaria è comunque vivo e presente nelle mie opere. E’ una forma mentis, è un concetto, è lo strumento che utilizzo per dire la mia. Così come la pubblicità è la sintesi di un’idea, lo è anche un’opera.
Come motiva la sua scelta della pittura figurativa in un’epoca in cui l’arte sembra aver preso altre direzioni?
E’ difficile rispondere a questa domanda senza farmi nemici. So perfettamente che spesso il mio genere di arte non è ritenuto commerciale, o semplicemente non stupisce come può aver fatto ad esempio la “Fontana” di Duchamp, l’opera dell’artista Manzoni, o il concetto di spazialità introdotto dai “Tagli” di Lucio Fontana. Non intendo dire che una direzione sia meglio di un’altra, ma semplicemente che debba essere la passione a portarti sulla giusta via, che non è necessariamente quella del momento. Ritengo anche che nel campo dell’arte moderna si sia altresì visto tanto, tantissimo, e chissà, forse un giorno la strada potrà essere quella di ritornare alla tecnica, allo studio, alla realtà. Catturare uno sguardo, o esprimere un’idea proprio come da sempre riesce a fare una canzone. Guardandomi intorno vedo nelle accademie di belle arti di Bari e Milano, il ritorno fra i giovani a quelle tecniche che portano sulla strada del realismo e che comunque riprendono pennellate dall’arte classica. Trovo ci sia una certa modernità nella scelta di alcuni miei soggetti o nel modo di dire la mia.
Il Maestro Filippo Cacace le ha insegnato le tecniche antiche: cosa significa per lei la scelta della grisaglia e cosa simboleggia?
Credo che in qualsiasi disciplina occorra una “disciplina”. Mi rendo conto che unire la parola creativo, pittore, artista a questo concetto per molti suonerà strano. Eppure lo ritengo fondamentale persino nell’arte. Per me la tecnica della grisaglia è una direzione, un metodo da applicare per esaltare le qualità chiaroscurali di un’opera e per tirar fuori, attraverso pennellate e sovrapposizioni di colore, la luce.
Si definirebbe artista contemporanea?
Ritengo di sì. Certo non creo installazioni e non appartengo a movimenti moderni come può essere ad esempio quello della transavanguardia. Sono una pittrice consapevole e senza pretesa di avere inventato uno stile nuovo. Però sono curiosa e sempre pronta a mettermi in discussione e a esplorare senza allontanarmi necessariamente da me stessa. Ritengo che oggi sia possibile convivere con espressioni culturali diverse che sicuramente, seppur a volte in maniera inconsapevole, stimolano il processo creativo e alimentano la produzione artistica.
Cos’è per lei il realismo in pittura: fedeltà rappresentativa o interpretazione del mondo?
Credo sia bellezza. Certo è che per bellezza si possono intendere mille cose: quella di un corpo, di uno sguardo, di un pensiero, dell’anima, di un’idea o anche quella di una singola pennellata. E se la bellezza poi la si ritrova negli occhi di chi guarda, credo tu abbia fatto centro.
Intervista Premio Porta d'Oriente
Marzo 2013 A cura di gustavo Delgrado |
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